La sindrome da app sul cellulare

La sindrome da app sul cellulare

GENOVA. 13 FEB. L’interessante commento di F. Zaffarano (Il Secolo XIX) del 4 febbraio us non mi ha colto alla sprovvista. Anzi, convalida un’evidenza: non c’è luogo, dal bar all’autobus, dalle sale d’aspetto al salotto di casa, che non preveda, e veda, gli utenti-avventori  scorrere senza tregua la tastiera touch del proprio cellulare.

Infatti, sia intenti a giocare, sia a profondere “mi piace” in qualche social, l’immanenza del mezzo tecnologico s’impone con la sua stessa presenza: ben serrato tra le mani, in attesa di inter-agire col mondo.

Fenomeno contemporaneo da cui pochi, molto pochi, riescono a sottrarsi. Flagello espressivo di cui pochi, a mio avviso, comprendono la natura.

Conseguenza immediata del fenomeno: scriversi tanto e parlarsi poco.

Ma se la questione posta s’imponesse per significato letterale, sarebbe, tutto sommato, una buona cosa: scrivere è sempre un ottimo esercizio che, tra l’altro, ben dispone alla lettura: ora la memoria va ai preziosi e colti carteggi di pensatori e studiosi, nella storia presente e passata.

In questo caso, invece, il significato di “scrivere” va inteso con tutt’altro tenore: digitazioni brevi e contratte, sigle ed acronimi conditi dalle più svariate “faccine”, codificazioni che trovano in “whatsapp” (l’ho scritto correttamente?) ideale sfogo, o per meglio dire, gratuito ristoro.

Gli utenti di questa “app”, che ha ormai soppiantato i vecchi “sms”, pare siano circa 1 miliardo al mese. Immaginiamo una inimmaginabile immensità di persone, distribuite in ogni parte del mondo che smanetta, scorre le dita sul display; che ne digita, compulsiva, i tasti. Estraniata dal mondo circostante. Estasiata dal proprio.

D’altronde, lo abbiamo ben appreso anche dalle Neuroscienze: quando  dedichiamo attenzione ad una cosa, essa assorbe ed indirizza univocamente le nostre capacità.

Osservare la situazione, se non fosse drammatica, sarebbe un piacevole diversivo. Ma com’é possibile trovare diletto in tale sommessa e comune condizione?  Quando innanzi si prospetta un panorama umano, pur globalizzato, tuttavia reclinato e “destinato” irreversibilmente all’autoisolamento interattivo ed al declino intellettivo?

Si può forse scherzare o scommettere su una condizione che costituisce un’ipoteca sul presente e sul futuro di tutti?

Massimiliano Barbin Bertorelli

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