Il flash mob di Greenpeace per il referendum sulle trivellazioni

Il flash mob di Greenpeace per il referendum sulle trivellazioni

Il flash mob di Greenpeace per il referendum sulle trivellazioni

Il flash mob di Greenpeace per il referendum sulle trivellazioni

GENOVA. 19 MAR. A Genova e in altre 21 città di tutta Italia gli “oil men” di Greenpeace sono entrati in azione per invitare gli italiani al partecipare al referendum sulle trivellazioni offshore del prossimo 17 aprile.

A Genova, in Piazza San Lorenzo i volontari di Greenpeace, vestiti di nero e con mani e volto sporchi di una sostanza oleosa simile al petrolio, hanno animato un flash mob per richiamare l’attenzione dei cittadini sul referendum.

Sullo striscione si poteva leggere un chiaro invito al voto del 17 aprile: “O MÂ O NO SE PERTÛZA”. In ciascuna delle 22 città coinvolte, l’appello di Greenpeace a non trivellare il Paese è stato infatti tradotto nei dialetti locali, perché la minaccia petrolifera riguarda tutti gli italiani.

“Indossare il nero petrolio – spiegano da Greenpeace – è stato un modo per far capire ai cittadini la vera posta in gioco al referendum del 17 aprile: il no alle trivelle è anche un no alla politica energetica del governo fondata sulle vecchie e sporche fonti fossili. Il petrolio è un inquinante capace di entrare nella catena alimentare e risalire fino alle nostre bocche. Con una media di 38 milligrammi per metro cubo, il Mediterraneo è il mare più inquinato dagli idrocarburi al mondo”.

“Il 17 aprile gli italiani – spiega Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace – hanno la possibilità di fermare le piattaforme più vicine alle nostre coste. Producono solo il 3 per cento del gas di cui l’Italia ha bisogno, e lo 0,8 per cento del nostro consumo annuo di petrolio, ma lo fanno inquinando, e molto. Come dimostra il rapporto ‘Trivelle Fuorilegge’ di Greenpeace, che evidenzia concentrazioni preoccupanti di sostanze tossiche e cancerogene nei fondali vicini alle piattaforme e nelle cozze che ci crescono sopra”.

Lo scorso luglio Greenpeace ha chiesto al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare i dati di monitoraggio delle piattaforme presenti nei mari italiani che ha fornito i dati di monitoraggio relativi al triennio 2012-2014 di 34 impianti dislocati davanti alle coste di Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Sulle altre piattaforme operanti lungo le nostre coste, un centinaio, o non ci sono monitoraggi o i dati restano secretati.

I dati che il Ministero ha consegnato a Greenpeace mostrano una contaminazione ben oltre i limiti di legge per le acque costiere per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme.

I parametri ambientali eccedono i limiti per almeno due sostanze nel 67% dei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Anche nelle cozze la presenza di sostanze inquinanti ha mostrato evidenti criticità.

Nei sedimenti raccolti in prossimità delle piattaforme e nei tessuti dei mitili raccolti sui piloni di questi impianti si trovano metalli pesanti e idrocarburi, sostanze tossiche e in alcuni casi cancerogene, in concentrazioni talvolta abnormi, paragonabili a quelle che si riscontrano in ambienti contaminati da grandi sversamenti di greggio, come nel disastro della petroliera Prestige in Galizia.

Internethttp://www.greenpeace.org

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